“E i cau boi vànn sôe a Lügàn senza càpott e la radio che la và fànn un casòtt de veri “italiàn” e sô in dugàna i a tègnen lè de ca’”
E’ con questa canzone in testa che mi metto in strada, una mattina presto di Maggio, destinazione Lugano.
Ma, a differenza della canzone di Van De Sfroos, non ci sto andando per trovarmi “inbenzinati davanti alla roulette”, ma per tornare a stupirmi nuovamente e a raccontare la storia di Fatma e Giacomo.
Il lago di Lugano ci accoglie con docile, sotto un cielo umido.
E Calma e silenzio respiro in questa stanza che si affaccia sui monti.
Fatma, piccina ma con gli occhi grandi e spalancati, passeggia serena sulla moquette come una ballerina, come una fata che si sposta da un filo d’erba ad un fiore, senza fare rumore, quasi senza farsi vedere.
Indossato il vestito, la sua anima è ancora più leggera, più dolce. Mi allontano per osservarla quasi di nascosto, come se avessi timore di spaventarla e di farla scappare, in silenzio.
Ma è giunta l’ora, Giacomo, il papà, lo zio, tutta la famiglia la aspetta.
Non possiamo tardare oltre.
Da adesso le parole non servono per descrivere quanto accaduto.
La Bellezza che ti entra all’improvviso nel cuore, facendoti tremare gli occhi, ma tenendoti fisso lo sguardo a quel Bene che ci ha portati fino qui.
E’ una gioia profonda, una dolce letizia che mi accompagna.
Che fare, se non godermela fino in fondo, fino all’ultimo minuto?